di aPhoenix90 [user #22026] - pubblicato il 16 maggio 2012 ore 01:23
Uno dei primissimi diari di Jebstuart nell'era di Accordo 4 mi ha fatto riesumare un libro che ho dovuto leggere tempo addietro: «The Grapes of Wrath» («Furore») di Steinbeck. L'ho riletto volentieri, chissà perché trovandolo molto più illuminante della prima volta.
Steinbeck è un autore di quelli strani. Il suo stravagante universo descrittivo si è distinto per originalità in mezzo al mare di retorica politico-sociale in cui naviga quella che è stata bollata come "letteratura della crisi". Ma al di là delle sordide analisi teoriche, quello che mi ha colpito è l'accuratezza maniacale, il modo quasi biologico con cui Steinbeck descrive i processi di vita. La vita dell'uomo o quella degli animali, per Steinbeck non vi è nessuna differenza: l'importante è che sia vivo. «Tutto ciò che vive è sacro» si lascia scappare nel testo, curiosamente proprio in un romanzo uscito lo stesso anno (1939) in cui in Europa si inaugurava una guerra folle...
Non sfugge niente a Steinbeck, nemmeno l'aggregazione giovanile durante le feste musicali tra gli sfrattati della grande crisi economica. Beccatevi questo paragrafo:
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L'armonica è uno strumento facile da portare. La togli di tasca, la batti sulla palma della mano per scuoterne via i detriti di tabacco e porcheria, ed è pronta. Puoi fare quel che vuoi con un'armonica: note staccate, accordi, melodie ritmate. Puoi plasmare la tua musica con le due mani, ci tiri fuori il suono lamentoso e nostalgico della zampogna, le note grandiose e angeliche dell'organo, i trilli acuti e pungenti del piffero. Poi smetti di suonare e te la rimetti in tasca. E mentre suoni impari sempre nuovi accorgimenti, nuovi modi di plasmare l'arietta con le mani, di pizzicarla tra le labbra; e nessuno t'insegna. Ti guardi attorno e senti: talora tutto solo all'ombra, a mezzodì; talora a sera sulla soglia della tenda dopo cena quando le donne rigovernano. Ritmicamente batti il tempo col piede, alzi e abbassi i sopraccigli. E se la perdi o la rompi, la perdita non è grave. Con pochi cents te ne puoi comprare un'altra.
La chitarra è più preziosa. È uno strumento che devi imparare. Bisogna averci i calli sui polpastrelli della sinistra, e sul pollice un callo duro come corno. Sciogli bene le dita della sinistra, stendile come le zampette d'un ragno, per premere coi polpastrelli le corde della tastiera. Questa era di mio babbo. Ero un cosino alto così quando me la mise in mano per la prima volta. E quando seppi suonare come lui, non volle quasi più suonare. Seduto accanto al fuoco, m'ascoltava battendo il tempo col piede. Se provavo un motivo nuovo, aggrottava la fronte, finché non l'avessi centrato bene, e allora approvava con cenni del capo, e "Suona" diceva, "l'hai azzeccato, tira avanti senza paura. È una buona chitarra. Logora, ma buona. Ci saranno milioni di canzoni nel suo legno, son loro che l'hanno logorata così. Un giorno o l'altro si sfonda come un uovo, ma rattopparla non puoi, se no perde il tono. Suonala di sera, e se nella tenda vicina c'è uno che suona l'armonica, insieme fanno una musica piacevole."
Il violino è raro, difficile da imparare. Niente righini d'osso, niente maestri. Non c'è che da ascoltare un vecchio suonatore e provarti ad imitarlo. Non ti dirà mai come fa a raddoppiare, questo è un segreto, ma io son stato a osservare: faceva così. Questo è un gran violino. L'ho pagato due dollari. Pare che ce ne sono certi che hanno quattrocento anni, e hanno una voce di velluto, vellutata come il whisky. Dicono che costano perfino cinquanta, sessantamila dollari. Io non so se è vero. Sembra una frottola. Ma questo qui è mica poi tanto male, vero? Volete ballare? Ecco, mi strofino l'archetto con molta colofonia. Accidenti, come geme forte! Si sente lontano un miglio.
Eccoli tutti e tre, a sera: l'armonica, il violino e la chitarra. Suonano un ballabile. Le grosse corde basse della chitarra battono come un cuore! e le note acute dell'armonica! e il gemito del violino! La gente non può non avvicinarsi. La Polka della Galline, adesso. Rapide battute di tacchi, respiri affannosi, chiome che si sciolgono, ondeggiamenti da ubriachi. Guarda quel giovanotto, del Texas: lunghe gambe dinoccolate, batte quattro volte la suola ad ogni singolo passo. Mai visto nessuno piroettare così. Guarda come fa ondeggiare quella ragazza cherokee. Le gote rosse, le punte dei piedi in fuori, guarda, si vedono le mutandine, guarda come volteggia. La credi stanca? La credi sfiatata? Manco per idea. Lui, coi capelli sugli occhi, le labbra socchiuse, sembra non possa più tirare il fiato, ma continua a picchiare quattro tempi ad ogni singolo passo e a far piroettare la sua ragazza come una trottola. Il violino geme e la chitarra brontola. Il suonatore d'armonica è rosso in faccia. Il giovanotto del Texas e la ragazza cherokee ansano e battono ritmicamente i piedi in terra. I vecchi guardando si fregano serenamente le mani e sorridono un poco, battendo il tempo col piede.
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E se Steinbeck fu così abile nel descrivere i curiosi
processi della crisi economica rispecchiarsi nella vita delle persone, Woody
Guthrie (altro personaggio tutto particolare, che aveva impreziosito la sua
chitarra con la scritta: «This machine kills fascists») lo fece altrettanto
bene con le sue canzoni. Il cantastorie dell'Oklahoma che ha ispirato Bob Dylan, quell'anno scriveva la sua canzone più famosa: «This land is your land», filastrocca destinata a rimanere un classico della cultura popolare americana. Beccatevi questa gustosa versione, con il Boss che dirige un'infinità di ospiti nobili: