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Leon Ravasi
utente #4 - registrato il 11/02/2002
Pseudonimo dietro il quale si cela un grande esperto (e appassionato) di musica, propone i suoi gustosi commenti sulla musica italiana. Della frequenza dice, parafrasando Guccini: "io scrivo quando posso e come posso, quando ne ho voglia senza applausi o fischi..."
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Attività

Akuaduulza ovvero la Lombardia a Baton Rouge
di Leon Ravasi | 29 marzo 2005 ore 15:16
Davide Van De Sfroos ha fatto un disco "americano", che più americano di così ... forse solo J.J.Cale o Johnny Cash. L'ha fatto volutamente, come omaggio a quelle musiche e a quelle terre. Ed è, a onor del vero, un signor disco, che fa giustizia di tante polemiche attorno a questo degno esponente della canzone d'autore, in parte pretestuose e in parte giustificate da alcune scelte opportunistiche del nostro. Che però è artista valido e interessante. E questo disco di "gotico-lombardo", dal puro gusto chitarristico, lo dimostra una volta in più. Fenomeno peraltro ancora in maturazione.
Le chitarre di "Akuaduulza"
di Leon Ravasi | 29 marzo 2005 ore 15:00
Quante chitarre sono state utilizzate in "Akaduulza"' Tredici? Dodici? Otto? Fatto sta che il suono del disco è "maledettamente chitarristico" (in senso più che positivo. Da chitarrista praticante adoro il suono delle sei e dodici corde!). Chi meglio di Marco "Python" Fecchio, il "master of guitars" di Davide Van De Sfroos, può chiarire il problema?. "Sulla copertina del cd vedo elencate una Lakewood, una chitarra classica, una chitarra elettrica Gretsch 6118 Anniversary, una acustica Maton 12 corde, una Gretsch Lap Steel, una chitarra elettroacustica Godin, una chitarra Resofonica National Delphi Deluxe, una Fender Stratocaster "Mark Knopfler" signature, una Fender Telecaster, una Bottleneck Guitar, una Fender Stratocaster semplice. Farebbe undici. Insomma: quante erano queste chitarre?
Max Manfredi - è di livido blu questo
di Leon Ravasi | 13 gennaio 2005 ore 09:31
Max Manfredi non è un cantautore di quelli "facili", che lo ascolti e dici: "questo piace a tutti". No, lui è della serie dei bastian contrari. Ce ne sono pochi. Forse similmente ispido è Claudio Lolli. E guarda caso gli artisti ispidi sono quasi sempre i più ispirati. Mi viene in mente un certo De André che quanto a ispidezza (ispidità?) non era secondo a nessuno. Max ha fatto tre dischi, due sono fuori catalogo (olè!) e in uno di questi cantava "La fiera della Maddalena" con De André. Come è uso in questi casi ecco il disco dal vivo che ripercorre la storia musicale del cantautore genovese. Ma "Live in blu", registrato in concerto a Milano questa estate, è di più. Un gioiello con tre inediti come pietre incastonate: "Coriandoli d'acqua", "Tabarca" e "Molo dei greci".
Alessio Lega, un premio Tenco alla Resistenza (e all'amore)
di Leon Ravasi | 08 novembre 2004 ore 18:09
Tanto tuonò che piovve. Tante contestazioni dovette subire il Club Tenco a furia di premiare finti esordienti di nome Morgan o Pacifico (con alle spalle decenni di attività in gruppi famosi) che quest'anno il premio è caduto sulle spalle giuste. Che poi sono quelle di Alessio Lega, trentenne salentino di stanza a Milano che, dopo inenarrabili fatiche e un decennio di porte chiuse, nonostante un'intensa attività da vivo, è riuscito nel 2004 a incidere il primo album: "Resistenza e amore". La resistenza l'ha portato a incidere e l'amore è quello che possiamo riservarci da ascoltatori per l'album, inciso assieme ai Mariposa.
Fragil Vida ... ma canzoni solide
di Leon Ravasi | 29 agosto 2004 ore 16:12
E' un disco (quasi) d'esordio. Ed è un autoprodotto. Ma non c'è da storcere il naso. Vale molto di più: anzi, vale molto. I Fragil Vida, band emiliana (di Finale di Modena) che conferma che in provincia c'è buona aria per la musica, affrontano l'argomento disco da vecchi professionisti del vinile e il risultato è un album di una maturità sconcertante. Su una base in bilico tra jazz leggero, reminiscenze popolari e spunti progressive, lasciando un ampio spazio alle voci recitanti, il gruppo fiorentino mette in scena uno spettacolo pirotecnico di assoluto coinvolgimento. Da non ascoltare in modo distratto. Prendetevi un attimo di tempo, alzate il volume, per seguire meglio le raffinatezze e leggetevi i testi.
Frugando tra le spezie nella bottega di Baltazar
di Leon Ravasi | 28 agosto 2004 ore 09:38
Ormai sta diventando una vera e propria tendenza musicale. La piccola bottega Baltazar fa musica gentile. E italiana. Fino al midollo. Ma italiana delle origini, affondando le mani nel mare grande della musica a ripescare antiche melodie, sfrondarle della alghe, pulirle, lucidarle e restituirle alla antica magnificenza. Ovviamente i brani sono originali e recenti, ma è il mood a essere antico, artigianale, con quel pizzico di sapor di bottega che ancora fa bene sentire. Dove in mezzo ai saponi e alle spezie si intrufolano melodie ariose e parole attente e garbate. Una grande e piacevole sorpresa a cavallo di un titolo, “Canzone in forma di fiore”, che meriterebbe il premio da solo, per tutto quello che riesce con grazia a esprimere.
Una meraviglia di nome Ambrogio Sparagna
di Leon Ravasi | 01 agosto 2004 ore 18:37
Ci sono dischi e ci sono brividi. Ci sono quei momenti in cui, senza rendertene conto, entri in vibrazione, in sintonia col disco che ascolti. E la vibrazione si insinua sotto pelle prima che negli altri centri motori. Quando poi un album di musica meraviglioso parla contemporaneamente alla testa, al cuore e ai sensi si ha la sintesi perfetta. Se non fosse perché la perfezione non è mai la cifra della vera musica popolare, che ha bisogno di essere sporca, stradaiola, caciarona, urlata, sarebbe questo il caso di Ambrogio Sparagna, disco e autore. Stesso nome. Un cantastorie nuovo, un musicista e musicologo antico che, con un piccolo aiuto dagli amici, ci regala tre quarti d'ora di piacere.
Due o tre cose che disse Gaber
di Leon Ravasi | 17 giugno 2004 ore 07:46
"Devo dire che per me la chitarra ha sempre avuto una duplice funzione. Oltre al momento in cui tu scrivi i pezzi (e io, non suonando il pianoforte uso ancora oggi la chitarra), la chitarra mi rimane comunque come amore, nel senso che io, ritornando a casa la notte, non è che prendo in mano la chitarra solo perché devo scrivere una nuova canzone, la prendo anche perché me la godo, perché è uno strumento intimo, perché non potrei mettermi al pianoforte a quell'ora di notte ... E in conclusione questo fatto che ti trovi da solo, con la chitarra, a provare le tue cose, è una roba di grande amore con lo strumento ... Insomma, è un gusto autonomo, come se non c'entrasse la professione. Tutto sommato, in questo senso, la chitarra è uno strumento personale e, in definitiva, legato alla tua solitudine". Parere d'autore. E' Giorgio Gaber riportato da Giandomenico Curi in "Chiedo scusa se parlo di Gaber". Mi sembrava una frase adatta per un pubblico odi chitarristi. Sarebbe bello sapere se ognuno vive di noi vive questo rapporto di solitudine con lo strumento.
L'animo abraso di Nada
di Leon Ravasi | 30 maggio 2004 ore 10:32
Nada=niente, nulla. Ma Nada, in questo caso=dolore. Partiamo da una dichiarazione di Howe Gelb, leader dei Giant Sand e autore di "Classico", il brano che chiude l'album (prima di due strazianti ghost track): "Nada ha letteralmente respirato vita dentro la canzone". C'è tutto. L'intero album, "Tutto l'amore che mi manca", introdotto da uno scioccante cuore di pietra in copertina è un urlo di dolore protratto e continuato. Con l'ipnotica ripetitività con cui nei manicomi le parole si spezzano, rimbalzano, si frantumano e ricadono in pezzi, così Nada affronta, senza lucidità e con l'anima esposta come una ferita, il tema del dolore e della solitudine.
Caravane de ville e il piacere della Casbah
di Leon Ravasi | 22 marzo 2004 ore 23:14
Le spezie. Partiamo da lì. Cosa sarebbe la vita senza lo zafferano? Avrebbe senso il risotto? E la noce moscata, il cardamomo, la cannella, il chiodo di garofano o le mille spezie che danno luogo al curry? Caravane de ville è il curry messo in musica. "Meticciato musicale del terzo millennio" definiscono da soli la propria proposta musicale e mai termine ha potuto dirsi più azzeccato. Se "Metropolis" era un esordio di una bellezza assordante, "Casbah" riprende il discorso, lo sposta più in là verso est, verso quell'Oriente che, come assurdo geografico, è anche diventato un sud di un mondo che ha virato sempre più a nord. E già solo questa scelta, di carattere geografico e politico opposta a quella di tutti i bushismi neo-con e ai loro zelanti leccaculo, ci porta a schierarci dalla stessa parte del disco.
Yo Yo Mundi -
di Leon Ravasi | 19 marzo 2004 ore 09:11
Mi è capitato una sola volta di andare al cinema, vedere un film tratto da un libro e, successivamente comprarmi il libro: si trattava di "Un bicchiere di rabbia" di Aluzio Abranches. Non mi era mai successo di comprarmi un libro dopo aver sentito un disco. Questa è la prima volta. Gli Yo Yo Mundi hanno portato a segno un altro colpo dei loro, sonorizzando e traducendo in disco "54" degli Wu Ming (nome collettivo di 5 autori bolognesi, costola del remoto Luther Blisset). Il risultato è sconvolgente. Siamo di fronte a una nuova forma d'arte, una sorta di radiodramma sonoro di grande impatto, dove le musiche degli Yo Yo Mundi impregnano l'atmosfera in modo fascinoso . morbido ed avvolgente mentre le voci degli attori Giuseppe Cederna, Marco Baliani e Fabrizio Pagella e del cantante dei 24 Grana, Francesco di Bella, qui in veste di fine dicitore napoletano, disegnano le trame e i racconti estratti dal libro. L'insieme è di grande suggestione.
Canti al di là del tempo da Macina e Gang
di Leon Ravasi | 08 marzo 2004 ore 22:28
Non è il disco nuovo dei Gang. Non è un disco de La Macina. Non è neanche il prodotto dei due fattori. Ma è un disco emozionante. “Nel tempo e oltre, cantando” di Macina Gang è, oltre che un bellissimo titolo, un grande progetto. L’incrocio tra musica popolare e quel tanto di musica popolare che impregnava le canzoni dei Gang, ma anche il tentativo (riuscito) di innervare con forti venature rock i brani della tradizione, per arrivare a una nuova forma di canzone che possiede di ambedue le origini senza né appartenere né distaccarsi dalle sane piante del rock e del folk. Folk-rock? Sì, se il termine non suonasse un po’ troppo “molle” ed estenuato. Questo disco, invece è ricco di grinta ma in una miscela che riporta ai fasti di “Storie d’Italia”. Le voci di terra e vento di Gastone Pietrucci e di Marino Severini si intrecciano e si scambiano i ruoli mentre gli altri sette musici tessono una trama senza smagliature su cui posare le formelle con le storie di antica o recente provenienza, ma con radice comune.
Ritratti. Warning -
di Leon Ravasi | 22 febbraio 2004 ore 21:00
Ma si può fare una recensione di Francesco Guccini? Dunque, a memoria, non ne ho mai fatte. Esaminiamo il problema: se Massimo Bubola rappresenta una fetta della canzone italiana,. Guccini “È” tout court la canzone d’autore italiana. Storia coi controfiocchi e le medaglie. E poi l’ebbrezza di finire per diritto e a rovescio in una canzone del Guccio l’ha già provata Bertoncelli. Ma Guccini si può recensire? In linea di principio sì, ma probabilmente no. Per farlo dovrebbe scrivere canzoni e Guccini ha smesso da un po’. Non che non sforni periodicamente materiale più che degno di essere ascoltato, ma sono ancora canzoni? Se una canzone, in fondo, deve essere costituita di un meccanismo ripetitivo che ne favorisca la memorizzazione e la cantabilità, beh tutto questo in Guccini non c’è. Ci sono dei racconti, a volte lunghi, a volte più brevi, con accompagnamento di musica, dove il cantante Francesco, a volte pronuncia solo le parole e a volte le allunga in una forma di strascicato declamare, che canto non è. Ma se chiamiamo canzoni l’hip hop, forse possiamo farlo anche con Guccini. E allora veniamo a parlare di “Ritratti”, un disco atipico, un disco di Guccini. Nove canzoni, senza perle, ma con momenti di grande fascino.
Un "impreparato" per il Prof
di Leon Ravasi | 19 febbraio 2004 ore 23:12
Così non va Prof! Torni accompagnato dai suoi genitori. Il ragazzo potrebbe … ma non si applica. E via così cona abbondanza di metafore scolastiche nel tentativo di non bocciare (ma non lo si può proprio neanche promuovere!) il professore Vecchioni Roberto, giunto alla prova di maturità del 29esimo disco in carriera (fatta grazia delle raccolte). Ma, ad appena due anni di distanza dal “Lanciatore di coltelli” il bilancio è deficitario. Non che “Rotary club of Malindi” sia un brutto disco, ma non è un disco all’altezza della collaborazione tra Vecchioni e Mauro Pagani. C’è qualche canzone che si lascia ascoltare con piacere: la title track, Faccetta Rosa, Nini Kuna?, ma è un po’ troppo poco, anche perché il resto latita assai.
MCR e la sopresa che non ti aspetti
di Leon Ravasi | 15 febbraio 2004 ore 19:06
La sorpresa che non ti aspetti. Sinceramente i Modena City Ramblers non mi facevano più "vibrare" dai tempi della "Grande Famiglia", tranne piacevoli e lodevoli eccezioni. E la situazione mi sembrava ormai seriamente compromessa, nonostante le mandrie notevoli che i Ramblers tirano su per i concerti. Ma a 2004 ancora bambino è uscito questo disco nuovo. E, ecco la sorpresa, nuovo suona veramente. Dopo "Circobirò" e prima di "Piano piano" di Locasciulli (altro bel disco), il piacere di ascoltare 12 brani tutti marchiati dal sacro fuoco dell"intelligenza e di piacevolissimo ascolto. Forse ai MCR non bisogna chiedere di essere innovatori o sperimentatori, forse i loro testi si portano sempre dietro un"ombra di ingenuità, ma il disco marcia e marcia molto bene!
Piano piano tra i piaceri del mondo con Locasciulli
di Leon Ravasi | 13 febbraio 2004 ore 12:06
Come una buona bottiglia di vino. Rosso. Affinata in barrique, che, all’apertura, diffonde nell’aria toni di velluto, suadenze e sapori di frutti rossi di bosco. Come un bicchiere di vino da cullare delicatamente nella mano, osservando gli archetti acuti che si disegnano sulla superficie del vetro ed aspettando il diffondersi delle note più tenui, a completare un bouquet di aromi di grande spessore. Come il primo sorso di questo rosso nettare che inizia a scivolare nella tua bocca, stimola le ghiandole salivari, penetra nel naso e poi, con delicatezza di felpa, scorre nella gola. Così, con tutti questi sapori buoni, con tutte queste coccole per l’ascoltatore, con questa sensazione di sapori per pochi, per chi li sa gustare, così si diffondono, piano piano, le note di piano e la voce educata di Mimmo Locasciulli che, attorno ai 50, firma un disco di incredibile e gentile morbidezza. “Piano piano”, per chi ancora vuole credere ai piaceri del mondo.
Quello a cui non piace Faber
di Leon Ravasi | 12 febbraio 2004 ore 09:49
Esiste un cd, tra i miei, praticamente consumato dal gran suonare. E' la copia pirata, fatta al volo, del concerto del CarlO Felice in memoria di De Andrè. Esiste un cd, sempre tra i miei, quasi intonso, che non ha mai l'onore di salire sul carousel dei mei 100 dischi preferiti: è "Faber, amico fragile". Ebbene sì, vorstro onore, mi confesso colpevole! Non solo non lo sento mai, ma non mi piace neanche. Eh sì, io sono l'uomo a cui non piace Faber! Come è possibile, visto che mi piaceva il concerto da cui il disco è tratto? Vostro onore, è questione di emozione. Lì c'era, qui non c'è più. "Faber" come cd è stata una banale strenna di Natale.
Il nuovo miracolo di Nostra Signora dei Cantautori
di Leon Ravasi | 03 febbraio 2004 ore 23:36
Non è solo un disco dal vivo. E' a tutti gli effetti il nuovo disco di Fiorella Mannoia. Che poi sia registrato dal vivo è quasi secondario. Così pure come il fatto che venga dopo un altro disco dal vivo a distanza di un solo anno ("In tour", il doppio con De Gregori, Ron e Pino Daniele). E' completamente diverso il clima e anche, diciamolo, il risultato. "Concerti" è un lavoro di gran classe che allinea sul piatto (o meglio sul palco) 23 canzoni per un totale di poco meno di due ore di musica tutta da vedere.
Lo spettatore assiduo al Gran Circobirò
di Leon Ravasi | 23 gennaio 2004 ore 17:30
Da qualche tempo in qua, tutte le sere, compro il mio biglietto e mi siedo in prima fila. Mi tolgo sciarpa e cappotto e li dispongo sulla sedia di fianco. Allungo le gambe, faccio scrocchiare le dita e appoggio la schiena allo schienale. In perfetta letizia mi accingo allo spettacolo. Eccolo che inizia! Sento già il ruggito dei leoni e le risate dei clown. Sento questo acre fortore che mi prende le narici. Solo il tempo di pensarci che la musica è già iniziata e la sarabanda è partita. Durerà 57’e 10”, al termine dei quali, esaurito gli applausi di rito (ma sentiti e meritati) mi alzerò e rimetterò da capo il disco. Perché questo è “Circobirò”. Le morbide e rotonde note di un basso che introducono l’orchestra, poi funamboli, violinisti, giocolieri, mercanti e pifferai. Un piccolo capolavoro.
11 gennaio, cantare Fabrizio
di Leon Ravasi | 12 gennaio 2004 ore 12:16
Un concerto. Uno strano tipo di concerto. In cui i confini tra palco e platea sfumano così tanto da annullarsi. Un concerto all’aperto, di notte, in gennaio, a Milano, sotto un cielo giallognolo di nubi e di freddo. Chi erano gli artisti? Noi, tutti, chi passava. O forse nessuno. O forse uno ce n’è stato. Qualche tempo fa e ora non c’è più. Si chiamava Fabrizio ...
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