Oggi il jazz ha un sapore nuovo e il trio non è più una semplice formula per cool jazz e bebop. Gli Head Project Trio infarciscono il loro primo album di suoni freschi, atmosfere rarefatte e continui richiami alla scena jazzistica europea, condendo il tutto con i colori della musica elettronica.
Con il disco che porta il loro nome e ne segna il debutto sulla scena jazzistica, gli Head Project Trio dimostrano che il jazz non è fatto solo di accenti sincopati su cui fluiscono interminabili assoli, ma anche e soprattutto di innovazione, colori e scenari sperimentali in cui anche il più classico dei trio può fondersi con estro alla sintesi elettronica.
Fabio Tommasone al pianoforte, Raffaele Natale alla batteria e Luca Varavallo al contrabbasso hanno messo insieme un album dalle atmosfere oniriche e distese, da ascoltare tutto d'un fiato come un'opera completa di suoni ed effetti, ma capace di valorizzare anche i singoli brani che la compongono, ognuno con un suo carattere peculiare.
Dopo l'apertura di "Insert Coin", con il suo mantra ritmico e melodico ripetuto fino a entrare fisicamente dentro l'ascoltatore, "Slow Heart Beat" sposta già l'attenzione verso l'uso creativo dei suoni: una nota stoppata di pianoforte imita il battito cardiaco, in un pezzo che procede lento e inesorabile, cupo. Cambia bruscamente stile "Luca's break", i cui tempi dispari e frenetici si infrangono contro l'archetto classicheggiante di "My Goddess". Ma l'atmosfera è solo momentanea, perché durante il brano subentrano contaminazioni moderne e sperimentali, tra cui anche i campionamenti di Donato Cutolo, che d'ora in avanti accompagneranno buona parte delle orchestrazioni, tutte semplici solo in apparenza e votate alla creazione di panorami uditivi, piuttosto che ai bruschi movimenti armonici tipici di un certo jazz strumentale. Le atmosfere dilatate si fondono alla perfezione con l'apertura del brano seguente, "Guardando Verso E.S.T.", un omaggio all'Esbjörn Svensson Trio che cresce fino ad arrivare a sfociare in momenti dalle sonorità ora latine, ora orientaleggianti. "Look inside" è l'unico accenno alla ballad jazz in senso stretto, ma i sintetizzatori sospesi e rarefatti non smettono di richiamare paesaggi onirici.
La scuola europea si fa sentire in "On My Head", tra i pochi brani in cui gli strumenti si abbandonano a degli assolo nell'accezione più tradizionale del termine. Le sfumature elettroniche del trio si esprimono maggiormente in "Come l'aria del mattino", dove un tappeto di suoni e rumori, insieme a un arpeggio pizzicato, crea un fondale quasi ipnotico, seppur non tradendo l'atmosfera rilassata di quello che è uno dei brani più allegri, per sonorità. I sintetizzatori, però, arrivano al culmine solo in "Indice Telematico", dove campionamenti e suoni pesantemente effettati creano un vero e proprio indice del disco, offrendo continui richiami ai brani precedenti, ma con un'atmosfera dilatata al massimo, che si distacca dai canoni jazzistici per arrivare fino alla pura musica elettronica.
Head Project Trio non è un disco facile da capire, ma di contro risulta perfettamente digeribile anche a un ascolto distratto, senza la necessità di scavare in profondità nei continui riferimenti musicali e stilistici per goderselo a dovere. La formazione, dal canto suo, ha dimostrato il proprio impegno anche nel sociale, e la traccia di chiusura dell'album è stata scelta come colonna sonora della campagna contro l'alcolismo "Un finale migliore". Per chi vorrà approfondire la musica degli Head Project Trio, il gruppo sta promuovendo l'album proprio in questi giorni, e terrà un concerto di presentazione questo venerdì 21 febbraio al Bourbon Street di Napoli. |